Manicomio provinciale di Pavia in Voghera

NOME ISTITUTO: Manicomio provinciale di Pavia in Voghera
REGIONE, CITTÀLombardia, Voghera
INDIRIZZO: Via Morelli di Popolo – 27058
Edificio già esistente Edificio ex novo
Dati Storici:

  • 1784: riadattare il convento di Sant’Agata al Monte per il ricovero dei maschi ritenuti pazzi. Le donne erano invece alloggiate nel palazzo Majno adiacente all’Ospedale San Matteo.
  • 1863: il ritorno a Pavia di Cesare Lombroso cambia radicalmente le sorti della psichiatria pavese; si inizia a pensare alla costruzione di un nuovo edificio. Nel 1866 è nominato primario delle malattie mentali nell’Ospedale di Sant’Eufemia.
  • 1872: Agostino Depretis interviene in favore della collocazione della struttura a Voghera, emanando una delibera di nuova istituzione.
  • 1873: l’amministrazione provinciale lanciò un bando di concorso sulla base di un “programma” redatto da una commissione composta dallo stesso Lombroso, dall’alienista Andrea Verga e dagli ingegneri Cesare Cattaneo e Rinaldo Maccabruni. vince il progetto di Vincenzo Monti e Angelo Savoldi.
  • 1876: l’Ospedale psichiatrico inizia ad ospitare i primi degenti sotto la direzione di Augusto Tamburini.
  • 1877: la direzione passa ad Antigono Raggi, il quale assume anche la direzione della clinica delle malattie mentali per il trasferimento di Lombroso a Torino.
  • 1878: vengono ultimati i lavori; l’edificio rimane in uso fino al 1978.
  • 1899-1902: direzione di Giuseppe Antonini.
  • 1903-1909: direzione di Achille Carini.
  • 1910: assume la direzione del manicomio Gaspare Bergonzoli.
Stato attuale:

L’edificio oggi ospita una sede dell’ASL di Pavia.

Ubicazione e architettura:

Il bando di concorso indetto per il progetto dell’edificio del 1873 si basava su un “Programma”, predisposto per gli aspetti medici dai professori Lombroso e Verga e per gli aspetti tecnici dagli ingegneri Maccabruni e Cattaneo: le esigenze di carattere igienico avrebbero dovuto indirizzare le caratteristiche architettoniche e la funzionalità prevalere sull’estetica.
Il manicomio doveva sorgere nel territorio attorno a Voghera, in una zona ricca d’acqua e ben arieggiata dai venti. Doveva presentare una struttura a padiglioni indipendenti e divisi “a seconda del sesso, dell’età e delle forme diverse della metecattaggine”; doveva ospitare 300 malati tra maschi e femmine; doveva disporre di vari locali tra infermerie, celle e dormitori, bagni, sale di conversazione, officine di lavoro, alloggi per il direttore e il personale e fosse circondata da giardini e terreni.

Il progetto che venne scelto fu quello di Vincenzo Monti e Angelo Savoldi, i quali si erano documentati ed aggiornati circa le moderne concezioni psichiatriche e sul dibattito sulle funzioni dei manicomi, a livello non solo nazionale, visitando strutture analoghe (da Mombello a Reggio Emilia) e intervistando i maggiori luminari, oltre a Lombroso che fu certamente il loro consulente medico.
Optarono per una struttura a singoli corpi indipendenti, situati a modesta distanza l’uno dall’altro ma collegati da una doppia galleria di disimpegno e di comunicazione per agevolare il servizio dei medici e dei sorveglianti e l’attività fisica dei degenti.
La planimetria risulta dall’intersezione di due rettangoli che formano una croce simmetrica a bracci diseguali: le braccia maggiori comprendono gli spazi destinati ai malati, divisi per sesso, quelli minori i servizi generali, la direzione, gli uffici amministrativi, il gabinetto anatomico e la camera mortuaria. Dal corpo centrale si sviluppano nove padiglioni (quattro anteriori, quattro posteriori, l’ultimo a emiciclo) dove sono disposti i malati in relazione alla progressiva gravità della malattia, dai più tranquilli ai più agitati, mentre ai furiosi sono destinate celle separate poste alle estremità, in forma ovale e con pareti imbottite di caucciù. Al centro di ciascun comparto i bagni, dove si poteva praticare anche la nuova tecnica idroterapica, con tinozze dotate di appositi coperchi, docce speciali e bagni di vapore.
Il piano superiore era destinato ai dormitori, quello terreno alle attività diurne, ai laboratori, alle officine e ai refettori, mentre i sotterranei ai servizi (cucine, lavanderia, ghiacciaia e caldaia).

Un’esigenza ritenuta importante dal piano Monti-Savoldi era quella di conferire a tutta la struttura architettonica una caratterizzazione estetica piacevole, da residenza campestre, limitando quanto più possibile l’aspetto di coercizione e reclusione: attribuirono grande rilievo e attenzione all’armonia delle linee architettoniche, al gioco dei volumi e alla bicromia delle face delle murature esterne per dare gradevolezza all’insieme; curarono gli spazi verdi e i giardini limitati da bassi muri di cinta e da siepi che mascherano la fossa “a salto di lupo” per scoraggiare possibili fughe.

La direzione di Gaspare Bergonzoli dal 1910, si concentrò particolarmente sulla promozione dell’ergoterapia attraverso colonie agricole e officine professionali.

Archivio e contatti:

 

 

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