Ospedale psichiatrico provinciale di Udine

NOME ISTITUTO: Ospedale psichiatrico provinciale di Udine (altre denominazioni: in origine Manicomio provinciale Sant’Osvaldo, Manicomio provinciale di Udine, Manicomio provinciale ai Prati di Tomba in Udine (1902), Ospedale psichiatrico provinciale (1931))
REGIONE, CITTÀFriuli Venezia Giulia, Udine
INDIRIZZO: Via Pozzuolo 330, 33100

Edificio già esistente Edificio ex novo
Dati Storici:

  • 1868: A seguito della legge del 1865 che affidava la responsabilità dei malati di mente alle province, l’amministrazione territoriale di Udine decide di incaricare l’Ospedale civile di Udine e il Manicomio di San Servolo a Venezia per le cure sanitarie psichiatriche. All’ospedale urbano spettano le prime cure, i ricoveri temporanei e gli accertamenti, mentre la laguna deve accogliere i pazienti acuti e “da internamento”. Per Udine è una prassi già consolidata poiché già nei decenni precedenti, sotto il dominio della Repubblica Veneziana e del Governo austriaco, i malati più gravi venivano inviati a Venezia. Inoltre, dal 1852, in territorio veneto si era costituito il Fondo Territoriale, ente morale fondato con lo scopo di gestire alcuni servizi locali (ad esempio il catasto e la gendarmeria) e di soccorrere le classi più bisognose della società, tra le quali i ciechi e i malati di mente. Per questa ragione solo dal 1868 la Provincia si fa carico direttamente delle spese per la cura dei “folli”, esprimendo però le proprie perplessità per gli alti costi.
  • 1870: Due anni dopo la Provincia fonda il Manicomio femminile sussidiario a Lovaria, ponendolo sotto la dipendenza dell’Ospedale Civile, al quale inviare le donne con patologie lievi o curabili.
  • 1874: Con la diffusione endemica della pellagra nel 1872, la situazione di queste tre strutture diviene insostenibile; la Provincia promuove allora un serio confronto, istituzionale e sociale, al fine di far comprendere la reale entità del problema e l’opportunità di creare un unico grande centro per la cura mentale. Accantonata questa ipotesi dopo un lungo e acceso dibattito, nel 1874 la deputazione provinciale decide di creare una rete di piccole strutture disseminate sul territorio. Si decreta, dunque, la costruzione delle succursali manicomiali, con aziende agricole, a San Daniele (per 50 pazienti) e a Palmanova (per 30 degenti), alle quali ben presto si aggiunge quella di Sottoselva. Il nuovo sistema per la cura dei malati di mente e dei pellagrosi è fortemente influenzato dall’impostazione scientifico-sanitaria del medico Andrea Perusini (direttore dell’Ospedale civile) e trova sostegno nelle istituzioni pubbliche e caritatevoli locali, che s’impegnano economicamente per i malati che rimangono nelle proprie famiglie. Già dagli anni settanta, quindi, sotto la direzione Perusini si sperimenta il nuovo impianto basato sull’articolazione di presidi con specifiche funzioni: l’ospedale urbano per la prima accoglienza; l’assistenza dei pazienti bisognosi di vigilanza speciale; la gestione dei degenti giudicati guaribili; sedi succursali per la degenza prolungata o cronica (distaccamenti territoriali); collocamenti domiciliari, con sussidi, per i pazienti convalescenti, malati tranquilli, cronici innocui. Riconoscimenti ufficiali per questo modello sono espressi dalla Società Italiana d’Igiene e da altre istituzioni nazionali, ragione di importanti premi ai singoli distaccamenti. L’intero sistema, che s’ispira al “no restraint” e porta alla valorizzazione di momenti comunitari, mira a trattare i ricoverati con la maggiore dolcezza possibile secondo la visione del medico Celotti, per il quale i pazienti dovevano sentirsi “non già come fra estranei, ma fra amici e benvoluti come e meglio, dei loro familiari”.
    Le interconnessioni tra le differenti strutture, tuttavia, non consentono piena autonomia alla Provincia, che deva rivolgersi a Venezia per la cura dei casi più gravi. Nonostante la collaudata collaborazione tra enti, sul finire del XIX secolo il modello va in crisi, anche in ragione del numero dei pellagrosi, che supera le altre tipologie di ricoverati con gravi conseguenze per la mescolanza dei malati, e per gli alti costi gestionali; fatti che inducono l’amministrazione a edificare un nuovo manicomio.
  • 16 dicembre 1901: Alla decisione di erigere una nuova struttura manicomiale centrale si giunge dopo un acceso dibattito, nel quale interviene anche un’apposita commissione che individua nel Brefotrofio provinciale l’edificio idoneo per essere ampliato e adattato al nuovo uso. Scartata quest’ipotesi è progettata una prima struttura manicomiale della capacità di 286 pazienti, caratterizzata da padiglioni sparsi su una superficie verde di 50 “campi friulani” (oltre 175.000 mq), successivamente portata a 90 (315.526 mq).
    Scartata anche questa ipotesi, l’idea progettuale di massima per un nuovo manicomio è studiata dall’avvocato Ignazio Reiner (personalità di spicco della società udinese oltre che Presidente della Deputazione provinciale) insieme a Papinio Pennato e a Giuseppe Antonini, già direttore del manicomio di Pavia. Nella seduta del 16 dicembre 1901 del Consiglio provinciale essi propongono la realizzazione di una cittadella della salute mentale, della capacità di 360 pazienti, proposta poi trasformata in progetto esecutivo dall’Ufficio tecnico provinciale, a firma dell’ingegnere capo Gian Battista Cantarutti.
  • 1902: redazione del progetto
  • 1904: inaugurazione del manicomio
  • 1906-1910: Poco dopo l’inaugurazione, l’amministrazione provinciale decreta un primo ampliamento realizzando, nella parte meridionale del complesso, un’ampia colonia agricola attorno a un padiglione a due piani, capace di ospitare 80 pazienti tranquilli, e ad alcuni fabbricati rurali. La scelta del sito della colonia è determinata dal perimetro del complesso, che vincola la posizione dei nuovi fabbricati in asse con la sezione maschile, con conseguente collocazione intermedia degli appezzamenti coltivabili.
    La Provincia decide di edificare anche due nuovi padiglioni per l’osservazione degli uomini e per la cura dei malati infettivi, entrambi a un piano fuori terra, con capacità ricettiva di 25 pazienti ciascuno.
    A conclusione di questo primo ciclo edilizio il manicomio aveva portato la propria capacità ricettiva a 490 pazienti dai 360 iniziali.
    Nel 1909 è elaborato un nuovo progetto di ampliamento, fortemente voluto da Giuseppe Antonini per aumentare ancora la capacità ricettiva dei posti letto fino ad ospitare 560 pazienti. Si completa così il primo programma di opere minori per l’ammodernamento della struttura, basato sull’implementazione dell’ergoterapia, sulla cura del verde e dei giardini interni, sul potenziamento dei laboratori di artigianato, sulla realizzazione di un panificio interno e sullo sfruttamento energetico del limitrofo canale Elettra.
  • 1911-1920: Divenuto nel 1911 nuovo direttore del manicomio, Volpi Ghirardini ne vuole un aggiuntivo ampliamento funzionale attraverso un primo modesto rinnovamento edilizio, finalizzato a migliorare la vita dei pazienti e a incrementare la ricerca scientifica: fa subito edificare due piccoli fabbricati, destinati ad accogliere alcuni laboratori medico-scientifici e un nuovo guardaroba. Sopravviene una lunga pausa, determinata dallo scoppio della Grande Guerra e dalla conseguente crisi economica. Durante la guerra, inoltre, il manicomio è occupato dall’esercito austriaco, che lo trasforma in Kuttenberg Reserve Spital (ospedale militare di riserva), con conseguente allontanamento e smistamento dei pazienti nelle succursali. Un incendio, causato dallo scoppio del limitrofo deposito di munizioni dell’esercito italiano avvenuto il 27 agosto 1917, danneggia alcuni edifici, obbligando a elaborare nuovi interventi edilizi negli anni seguenti.
  • 1921-1979: ampliamenti e ricostruzioni
Stato attuale:

Gli anni della deistituzionalizzazione (dal 1979 circa) sono particolarmente critici per l’edilizia manicomiale di Udine: malgrado la direzione locale avesse instaurato rapporti di interscambio con molteplici strutture analoghe (Trieste, Gorizia, Treviso), non si limita in questo frangente con le loro decisioni e non attiva reale operatività sino alla metà degli anni novanta. Per risolvere il problema della gestione degli ammalati e del riutilizzo delle architetture, la Regione Friuli Venezia Giulia predispone una delibera di “superamento” dell’ospedale psichiatrico connotandolo come residenza sanitaria, ma senza predisporre un vero piano di trasformazione.
A seguito degli interventi legislativi del 1996, Udine e la succursale di Sottoselva divengono oggetto di una sperimentazione significativa, promossa dall’Azienda per i Servizi Sanitari, finalizzata alla riconversione della spesa per l’assistenza sanitaria residenziale in progetti di salute personalizzati. Parallelamente è avviato un processo di riqualificazione architettonica, paesaggistica e botanica e di valorizzazione delle cooperative sociali, situate anche all’interno delle strutture ex-manicomiali. Nel 2006, infatti, l’architetto Massimo Asquini redige un’Agenda per il recupero e la valorizzazione giardinistico-paesaggistica del sito dell’ex ospedale psichiatrico provinciale.
Il soggetto proprietario è l’azienda per i servizi sanitari n. 4 Medio Friuli; destinazione d’uso: sanitaria medico-assistenziale, universitaria (Università della Terza Età), socio-sportiva, socio-culturale, servizi amministrativi pubblici, depositi provinciali, attrezzature per il tempo libero, cooperative sociali.

Ubicazione e architettura:

Inaugurato nel 1904, il manicomio di Udine, risponde, in termini architettonici, ai principi psichiatrici maturati dall’alienista Giuseppe Antonini, allievo di Cesare Lombroso e dal 1900 direttore del manicomio di Voghera (Pavia). A Udine egli ebbe la felice occasione di affidarsi alla competenza tecnica dell’esperto ingegner Gian Battista Cantarutti, Capo dell’ufficio tecnico provinciale.

Il manicomio, dal progetto datato 14 aprile 1902, planimetricamente è molto semplice. Si basa sulla distribuzione su un’imponente area quadrangolare di 17 padiglioni isolati. L’impianto risente di un’impostazione rigidamente simmetrica, con la spina dei servizi, quale elemento portante, che funge anche da asse di separazione tra sezione femminile (a destra) e maschile (a sinistra).

Ispirato a modelli già introdotti in altri manicomi (Bergamo), esso presenta tre macro aree funzionali, separate da ampi viali alberati e spazi verdi, frammisti ad aree a specifica funzionalità medico-sanitaria, la cui sequenza coincide con i differenti stadi della malattia: tranquilli, furiosi e dozzinanti.

Il progetto prevede anche una spina alberata ortogonale a quella principale, ai margini della quale sono collocati due accessi secondari. Si evidenziava pertanto un impianto cruciforme irregolare che delimita le quattro aree destinate alla cura.

Al manicomio si giunge attraverso una strada carrabile, collocata a nord-ovest, grazie alla quale la struttura manicomiale, immersa nel verde, risulta quasi occultata alla vista delle persone dirette in città.

Per decisione dell’Antonini è il primo manicomio italiano a essere privo di alte mura perimetrali di contenimento, sostituite da una cancellata continua, il cui già scarso impatto percettivo è ulteriormente affievolito dalla presenza in posizione avanzata di alberi ad alto fusto. Analoga soluzione è adottata per suddividere tra loro i singoli padiglioni, separati da piccoli muriccioli basamentali, cancellate “uso villa” e “leggere reti metalliche”: elemento enfatizzato all’epoca ma già impiegato da altri alienisti (in altre analoghe strutture come i manicomi di Reggio Emilia e Ancona).

La scelta di eliminare una muratura perimetrale compatta comporta numerosi problemi alla direzione del manicomio udinese, inaugurato nel 1904, poiché nei primi anni si verificano fughe di pazienti, di criminali prosciolti per infermità mentale o di pazienti accusati di crimini e sottoposti a preliminare periodo di osservazione peritale.

Poco dopo l’inaugurazione (1904), nel 1906 l’amministrazione provinciale decreta un primo ampliamento realizzando, nella parte meridionale del complesso, un’ampia colonia agricola attorno a un padiglione a due piani, capace di ospitare 80 pazienti tranquilli, e ad alcuni fabbricati rurali.

La Provincia decide di edificare anche due nuovi padiglioni per l’osservazione degli uomini e per la cura dei malati infettivi, entrambi a un piano fuori terra, con capacità ricettiva di 25 pazienti ciascuno.

A conclusione di questo primo ciclo edilizio il manicomio aveva portato la propria capacità ricettiva a 490 pazienti dai 360 iniziali.

Archivio e contatti:

Sede di Conservazione: Archivio Azienda Servizi Sanitari n. 4 – Medio Friuli di Udine (Archivio Dipartimento di Salute Mentale di Udine)
Indirizzo depositi: Edificio attiguo alla Palazzina Direzione. Via Pozzuolo, n. 330 – 33100 Udine

 

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