Real Casa dei Matti di Aversa

NOME ISTITUTO: Real Casa dei Matti di Aversa
REGIONE, CITTÀ: Campania, Aversa
INDIRIZZOVia Linguiti, 54
Edificio già esistente Edificio ex novo
Dati Storici:

  • 1813 primo manicomio pubblico del Regno. Una sede dove ricoverare la “classe degli Uomini” a cui si aggiungono le succursali dei conventi dei Cappuccini al Monte (1813), di Montevergine (1821) e Sant’Agostino degli Scalzi (1837). Si costituisce così un polo psichiatrico ramificato nel tessuto urbano. Ispirato ai principi di Philippe Pinel nel contestare i metodi coercitivi e violenti praticati su i reclusi per malattie mentali a favore del “trattamento morale” della folla, è il presupposto per l’abrogazione dell’internamento promiscuo e senza cura a favore del moderno manicomio, inteso come un compatto microcosmo con specifiche aree in cui praticare attività artigianali e ampi spazi aperti attrezzati a verde per il lavoro campestre, ritenuto indispensabile per il processo curativo. Tuttavia, contraddice simili presupposti la decisione di rinunciare a una struttura specificamente progettata per l’asilo dei matti e, di contro, di ubicare il morotrofio nel convento di Santa Maria Maddalena, un complesso religioso medievale originariamente destinato a lebbrosario dei Cavalieri ospedalieri di San Giovanni. La scelta è senza dubbio dettata dalla scarsa disponibilità finanziaria, che orienta al riuso di quelle sedi del patrimonio ecclesiastico rese disponibili dalle leggi eversive. Inoltre, la località, pianeggiante e prossima alla città e alla capitale, offriva notevoli vantaggi e, se la salubrità del sito era compromessa da un clima umido e poco ventilato, di contro, l’ambiente circostante era qualificato dalla quiete bucolica di una rigogliosa natura. Ad Aversa si sperimentano e si anticipano modelli freniatrici e tipologie edilizie, in una serrata sinergia tra alienisti, tecnici e progettisti, di cui molto raramente le lacunose fonti consentono di chiarire gli effettivi ruoli.
    Si succedono diversi direttori, tra cui Biagio Miraglia, uno degli alienisti più attivi in quel tempo presso il morotrofio. Promotore e divulgatore della frenologia di Franz Joseph Gall, Miraglia introduce nel manicomio aversano i primi studi di craniologia, ancora poco noti in Italia e, agli inizi degli anni quaranta dell’Ottocento, affronta l’irrisolta questione dell’assenza di collegamenti con la città e con Napoli e la necessità di una struttura unica, più moderna e ampia a sufficienza.
  • 1861: Biagio Miraglia direttore. Nel periodo postunitario si eseguono i maggiori interventi: le innovazioni più significative riguardano gli spazi destinati ai laboratori e un istituto di osservazione meteorologica per studiare i messi scientifici tra le patologie mentali.
  • 1876: sotto la guida di Gaspare Virgilio, vi è una svolta tipologica: avviato l’acquisto di aree circostanti dove costruire “nuovi quartieri” secondo il disegno di Stassano, il Consiglio di amministrazione approva il “programma Medico per le nuove Fabbriche” e, iniziata la costruzione della “Colonia agricola” nel 1880, quattro anni dopo ratifica il progetto per la costruzione di fabbricati per “pericolosi” e “turbolenti”, per cui segue il comparto degli “agitati e furiosi”, con una precoce sperimentazione del modello edilizio a padiglioni. Inaugurati nel 1885, sono tutti dotati di laboratori e officine e collegati tra loro da percorsi alberati e spazi curati a verde, mentre all’interno della Casa centrale si prevedono aree ludiche, una biblioteca, il teatro e la sala musica, cui Virgilio attribuisce un prioritario ruolo terapeutico. Particolare attenzione rivolta al miglioramento del sistema fognario, tramite cloache mobili da svuotare periodicamente. Virgilio, studioso e sostenitore di teorie all’avanguardia, tra cui il decentramento dei manicomi, per far fronte all’insalubrità determinata dal sovraffollamento e soprattutto, per evitare lo “sradicamento” dei pazienti dal loro luogo d’origine, tuttavia, dispone che il morotrofio sia chiuso dalla città da un’alta recinzione muraria e venga destinato alle donne e agli uomini folli “curabili”, divisi in sei sezioni, rigorosamente separate tra loro, mentre i semiagitati, i sudici e i distruttori sono rinchiusi nelle succursali. A lui si deve il maggiore e più moderno ampliamento del manicomio: successivamente si procederà all’estensione della colonia agricola e si costruiranno i padiglioni Buonomo e Bianchi con sistemi all’avanguardia. Realizzati in calcestruzzo armato su un impianto planimetrico ad “H” e con ampi ambienti duttili, facilmente suddivisibili all’occorrenza.
  • 1999: Manicomio chiuso definitivamente. Oggi è il più celebre manicomio di tutto il Mezzogiorno continentale e versa in uno stato di abbandono che ben testimonia ila colpevole indifferenza nei confronti della memoria storica e delle risorse culturali.
Stato attuale:

 

Ubicazione e architettura:

Primo direttore Giovanni Maria Linguiti, il cui progetto, testimoniato da una “pianta topografica” del 1823, si fonda sul principio della netta separazione tra donne e uomini e, soprattutto, dalle diverse tipologie di demenza.

Linguiti intende dimostrare come la guarigione e il reinserimento sociale dei “poveri pazzi” siano possibili grazie a un’attenta pianificazione delle connessioni tra gli ambienti anche in strutture monastiche. Con trasformazioni edilizie di lieve entità, ma introducendo requisiti all’avanguardia, stravolte il significato relazionale degli spazi conventuali, elogiato anche da Esquirol, maggiore allievo di Pinel, dà origine a una struttura innovativa, perfettamente aderente alle indicazioni del coevo dibattito medico. Negli interni apporta inedite soluzioni decorative e fondamentali accorgimenti nell’arredamento e negli oggetti d’uso quotidiano, perché nulla possa ricordare ai malati il motivo del loro ricovero: inferriate alle finestre sostituiti da grate di legno, davanzali con finte fioriere, vasto giardino, quadripartito da curati parterre. Apporto più rivoluzionario è la realizzazione di un teatro come laboratorio privilegiato di psicoterapia.

Nuovo progetto affidato nel 1843 a Nicola Stassano, si riduce all’ampliamento del preesistente impianto conventuale, sebbene l’architetto, conservando il principio di uno scherma “eccentrico” e non “concentrico” come quello panottico, da lui ritenuto più adeguato per gli edifici carcerari, non rinunci mai a realizzare una struttura autonoma annessa a quella conventuale preesistente, per mezzo di un impianto a moduli quadrati e rettangolari e di un sistema di percorsi porticati allineati a quello originario. Inglobata l’antica facciata in un nuovo prospetto a tre livelli, marcato da un alto basamento porticato a bugnato e coronato da un attico centrale, ben più complesso si presenta l’adeguamento funzionale degli ambienti monastici, dove raggiungere il giusto compromesso affinché “meglio avesse soddisfatto alle condizioni” delle metodologie terapeutiche. Nei vent’anni successivi, vicende politiche ed economiche inducono Stassano ad apportare diverse modifiche alla proposta iniziale.

Archivio e contatti:

Sede di conservazione: Azienda Sanitaria Locale “Caserta” già “Caserta 2”.
Indirizzo depositi: via Santa Lucia, n. 30, Aversa

 

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