Italia Centrale

 

PER APPROFONDIRE…

Italia Centrale: i manicomi in Toscana

Bibliografia di riferimento:
Ewa Karwacka Codini, Frenocomi in Toscana: aspetti ambientali e paesaggistici nella sperimentazione dello spazio manicomiale, in I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, 2013.

Dagli ultimi decenni del Settecento fino all’inizio del Novecento, in Toscana si assiste a una sistematica sperimentazione intorno al tema dello spazio manicomiale (strumento per la cura “morale” dell’alienato): si ricerca la simulazione dei vari stili di vita “ordinaria” e la creazione di un ambiente consono alla vita del folle, adeguato dal punto di vista igienico e sanitario e rispettoso nel contesto del territorio circostante ma allo stesso tempo avvalorato dai pregi paesaggistici.
In modo graduale, con l’evoluzione del quadro politico-sociale e il progredire delle conquiste nel campo scientifico-medico, si sviluppa una maggiore attenzione agli aspetti ambientali, prima negli organismi adattati-trasformati al nuovo uso di frenocomio, poi in quelli edificati ex novo.

Vincenzo Chiarugi, a lungo direttore l’Ospedale della carità per dementi di Bonifazio, svolse un ruolo rilevante nel dibattito della nascente psichiatria: ripudia i mezzi di contenzione e di violenza fisica e vede nel manicomio lo strumento primario per l’osservazione, per la cura e il recupero dell’alienato, oltre a porre le basi per la definizione dello spazio architettonico manicomiale.
Con l’architetto Giuseppe Salvetti, decise gli spazi interni dell’ospedale dovessero essere “terapeutici” e sottolineò l’importanza del ruolo che l’edificio e l’ambiente dovevano svolgere nel trattamento “morale” o “organico”. Un luogo doveva presentare aree aperte, comode, tranquille e riservate; lo spazio doveva essere organizzato in modo da evocare l’armonia del corpo. Nell’architettura questo si traduce con spazi per la preghiera, per il passeggio nel giardino e per il lavoro.

La linea tracciata dal Chiarugi venne apprezzata in Italia e all’estero, e venne sviluppata nel secolo successivo da molti alienisti.
Il suo allievo Giovanni Buonaccorsi introdusse nello Spedale de’ Pazzi di Fregionaia di Lucca i metodi di ergoterapia e di affidamento etero-familiare dei ricoverati. L’ex convento in cui l’ospedale fu insediato nel 1773 era particolarmente idoneo a ospitare la riabilitazione fisico-morale dei folli perché poco distante dalla città, situato in posizione panoramica sulla pianura circostante, su un colle avvolto dalla folta vegetazione e singolarmente articolato intorno a due grandi e luminosi chiostri

Nella prima metà dell’Ottocento viene assegnato esplicitamente un importante ruolo terapeutico all’architettura dei frenocomi e per questo i medici e i tecnici visitavano gli stabilimenti italiani ed europei, si scambiavano idee, analizzavano in modo capillare i complessi, ponendo particolare attenzione alle caratteristiche ambientali.

Il modello di manicomio ideale era strutturato nella forma di un microcosmo che garantisce le condizioni di salubrità e di tutela della società, riflette l’ordine e la gerarchia del mondo esterno, trasmette l’armonia e la serenità, simula la vita in famiglia e consente l’attività lavorativa. I requisiti dell’ambiente e del paesaggio in cui edificare questi impianti dello spazio manicomiale vengono delineati assecondando le esigenze della moderna pratica alienistica – orientata principalmente sul trattamento “morale” di Pinel e su quello misto “fisico e morale” di Chiarugi – e adeguandosi alle nuove norme igieniche: si necessitava un’area isolata e di ampie dimensioni (anche in previsione di future espansioni), salubre e amena, preferibilmente posta all’esterno della città (anche per tutelare maggiormente la società), dotata di risorse d’acqua, di aree verdi e di ampi spazi liberi da destinare all’ergoterapia.

La maggior parte di questi presupposti trovano riscontro nell’ospedale San Niccolò di Siena.
Carlo Livi, alienista e dal 1859 direttore di questo istituto, il manicomio era un “ameno sito fra l’urbano e il campestre”. Era adeguato per un futuro ampliamento e per gli adeguamenti alla cura basata sulla terapia morale nel rapporto presentato al Congresso degli Scienziati Italiani tenutosi nel 1862 a Siena. Dal 1874 l’espansione dell’area ha consentito il potenziamento della terapia del lavoro tramite la formazione di una colonia agricola e di colonie industriali: lo stabile divenne un simulacro della grande villa-fattoria, corredata dal villaggio del lavoro.

Agostino Sbertoli, nel 1868, sperimentava, invece, la “Casa di salute” privata: era un microcosmo residenziale conformato secondo i modelli abitativi dei ceti nobiliari e borghesi a cui si rivolgeva. L’attenzione per l’architettura destinata ai folli di stauts sociale elevato trova riferimenti sia negli istituti privati francesi (Castel d’Andorte, aperto nel 1845 da Dupallans, allievo di Esquirol) sia nelle sperimentazioni a Macerata promosse da Giuseppe Girolami, presso cui si era formato Sbertoli. La volontà di ricreare l’atmosfera dei quartieri borgesi cittadini e quel medesimo stile di vita, si esprime nelle scelte tipologiche degli edifici, orientate prevalentemente su ville e villini, e nella creazione di raffinati spazi a verde per riposo e per passeggio assicurante la terapeutica quiete agreste.

manicomi di Arezzo e Volterra optarono invece per il modello del villaggio, dotato di grandi colonie agricole e case di lavoro, e sperimentarono le tecniche terapeutiche di no restraint e di open door. La filosofia di questi progetti basata sul lavoro quale terapia particolarmente efficace per la cura, per la rigenerazione morale e per la guarigione (che permetteva anche la riduzione delle misure coercitive e prospettava una serie di vantaggi economici per l’istituto) si orienta verso la ricreazione di microcosmi rurali e delle borgate, in cui la distribuzione degli edifici era libera da schemi rigorosi, al fine di annientare la percezione della reclusione.